Bianca, rossa e (Pepe) verde: la ricetta della sensazione di costiera

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L’eccellenza

Tradizionale o gourmet; la sottile romana o la napoletana col cornicione; in teglia o alla pala; a fette, a tranci, a spicchi, a libretto. Sono tante le varianti della pizza, poche invece le regole per capire se è buona: la base non deve essere bianca; la stessa base e l’interno non devono essere umidi; gli alveoli interni rotondi e non grandi e sull’esterno invece non dovrebbero esserci bolle; infine bruciature appena pronunciate in superficie.

Se così è, vuol dire che la lievitazione e la cottura sono state perfette e sotto i denti sarà elastica ma non gommosa. In bocca il dolce è segno di aggiunta di zucchero per nascondere l’eccessiva acidità di un pomodoro di scarsa qualità. Per fare queste verifiche però bisogna già aver scelto una delle 63 mila pizzerie italiane, che muovono – stima Coldiretti – un giro d’affari di 10 miliardi di euro, dando lavoro a 150 mila persone.

Il campionato

Non tutti hanno sotto casa i locali di Bonci o Callegari a Roma, di Sorbillo e Ciro Salvo a Napoli, del campione mondiale di pizza Pasquale Moro nel milanese, o di Padoan a Verona, ma va detto che la qualità è complessivamente cresciuta sull’onda del successo delle nuove pizzerie gourmet e del riconoscimento come patrimonio mondiale dell’umanità dell’arte dei “pizzaiuoli” napoletani.

Alcuni di loro sono ormai famosi come le grandi stelle della cucina. A partire da Franco Pepe da Caiazzo, un piccolo borgo in provincia di Caserta diventato imperdibile meta gourmet. Da Pepe in Grani si fa per la pizza icona del mix di tradizione & creatività, la “Margherita sbagliata”: una vera e propria margherita, esteticamente elegante, con fiordilatte, gocce di basilico e strisciate di pomodoro.

«Una pizza – spiega Franco – in grado di uscire dal folklore in cui è relegata per entrare nel mondo dell’alta cucina». Come del resto tutta la sua attività, frutto di una solida storia di panificazione ma non precisamente tradizionale. Già nonno Ciccio faceva pizze e Franco ci tiene a essere considerato artigiano e panificatore perché le sue sono pizze taylor made, su misura, lavorate rigorosamente a mano su una madia di legno con miscele di farine uniche.

«La grande sfida di un panificatore – dice – è ottenere l’impasto ideale, il punto di pasta, la misura perfetta, da trovare giorno dopo giorno in funzione delle variabili esterne – farine, acqua, clima – e interne, dall’umore al tatto. L’impasto è un corpo vivo, cresce e respira».

L’acidità

«Figlio della storia e del presente», come ama definirsi, Pepe – con le sue Marinara, Mangiabufalo, Viandante, Memento e via elencando – punta alla valorizzazione dei prodotti del territorio e a sdoganare il concetto di pizza come strappo alla regola alimentare. «Il mio menù funzionale – spiega Pepe – porta la salute in tavola, con un giusto equilibrio tra i macronutrienti – carboidrati, proteine e lipidi – per assicurare il buon funzionamento del metabolismo».

Infine, che vino abbinare? «Ideali – spiega Emiliano De Venuti, anima di Vinòforum in corso a Roma – sono le bollicine. In particolare il Trento doc, con una struttura capace di flirtare con l’acidità del pomodoro, esaltare la mozzarella e accompagnare la rapidità di un salume».

La ricetta della sensazione di costiera di Franco Pepe

I forni di casa non sono forni a legna, suggerisco allora la ricetta di una pizza fritta, di sicuro molto più facile da realizzare.

Ingredienti

Preparazione

Step 1

Stendere il disco d’impasto preparato prima e friggerlo in abbondante olio di semi ben caldo, asciugarlo bene, dopodiché, tagliarlo in quattro parti.

Step 2

Spolverare con aglio disidratato, sistemare le fette di pomodoro al centro di ogni spicchio di pasta e poi aggiungere su ogni fetta un pizzico di peperoncino e adagiarci sopra le acciughe della costiera.

Step 3

Spolverare con il prezzemolo tritato e le zest di limone.

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