Minestrone, cucchiaiate di felicità: la ricetta del minestrone alla genovese

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La specialità

Stroncato da un potentissimo mal di stomaco, Pellegrino Artusi, padre della cucina italiana post unitaria, aveva lanciato un furibondo anatema: “Maledetto minestrone, non mi buscherai più!” I fatti risalivano al 1855 e, quella che il futuro autore della Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene aveva definito ‘rivoluzione in corpo’, si era scatenata a Livorno, dove aveva gustato in una locanda una fumante minestra di verdure. Al primo miglioramento, Artusi aveva deciso però di lasciare la città per Firenze, scampando così per un pelo al colera. Il minestrone era innocente e, riabilitato, aveva subito trovato posto nel suo ricettario: verdure di stagione, un classico battuto e tanto riso per dare al piatto una buona consistenza.

Anatema

Non fosse bastato l’anatema artusiano, il minestrone si era beccato pure una collocazione politica con Giorgio Gaber che, nel suo Destra-Sinistra del 1995, cantava che «una bella minestrina è di destra, il minestrone è sempre di sinistra». E pensare che la minestrina, confortante ricordo d’infanzia, si era guadagnata invece l’odio di Giacomo Leopardi che l’aveva definita «abominevole» in una poesia scritta a undici anni e intitolata “A morte la minestra”.

Lusso

Da qui al minestrone destrutturato il passaggio è stato brevissimo. Un’intuizione che aveva ispirato anche la penna di Tracy Chevalier che, in un passaggio del suo “La Ragazza con l’Orecchino di Perla”, fa dire a Griet, la giovane inserviente di casa Vermeer che avrebbe fatto innamorare il pittore: «Avevo l’abitudine di sistemare le verdure in cerchio, ciascuna in uno spicchio come una fetta di torta. C’erano cinque fette: cavolo rosso, cipolle, porri, carote e rape. Mi ero servita della lama di un coltello per dare la forma a ciascuna fetta, e nel centro vi avevo piazzato una rondella di carota».

Territori

Siamo negli stessi territori di Giorgio Locatelli, star di Masterchef, che nella sua Locanda in Marylebone a Londra propone un iconico minestrone destrutturato dove convivono cromaticamente pomodori caramellati, rape baby, carote rosse, sfere di patate, cavolfiori e cime di broccolo in una squisita sintesi di sapore. «Non confondiamo il minestrone con la zuppa di verdure, però. Quest’ultima, prende il nome dal gotico ‘suppa’ e prevede solo il pane, mentre il minestrone vuole la pasta o il riso», taglia corto Luca Bazzano del Quintilio di Altare, uno dei grandi indirizzi gourmet sulle colline sopra Savona.

Compatto

«Da noi il minestrone è compatto, all’antica, e lo facciamo con la pasta, i taggiaen (i taglierini), oppure coi bricchetti piccoli come dei fiammiferi, o con lo scuccusun, a forma di palline, un poco cous cous e un poco grandine. L’importante, però, è che sia verdeggiante di pesto (fatto senza pinoli per avere un sapore più rigoroso) aggiunto fuori dal fuoco».

La ricetta del minestrone alla genovese di Luca Bazzano chef, Quintilio – Altare SV

Scegliete solo verdure di stagione più o meno in pari proporzione, fatta eccezione per le carote, che devono essere poche.

Preparazione

Step 1

Disponete tutti gli ingredienti a freddo in una pentola con abbondante acqua e un bicchiere d’olio. Nella vecchia Liguria si usava aggiungere una crosta di Parmigiano.

Step 2

Cuocete almeno due ore vigilando sulla consistenza.

Step 3

Se avete usato fagioli secchi conviene cuocerli a parte e aggiungerli all’ultimo minuto.

Step 4

Lessate la pasta nel minestrone e aggiungete il pesto senza cuocerlo.

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