È qui la festa: la ricetta della suprema di cappone alla Giuseppe Verdi

Il gallo castrato è da secoli ampiamente presente nei ricettari della cucina italiana, ed è tipico consumarlo nei periodi di fine anno, tra Natale ed Epifania. Infinite le varianti, arrosto nel Lazio o nel budello in Veneto

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    Carlo Ottaviano
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    “Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”, diceva Luigi Barzini Jr. Farlo scrivendo di cibo è ancora meglio, aggiungo io dopo 45 anni di lavoro (duro e serio) in tv, quotidiani, mensili e qualche libro pubblicato. Per il Messaggero scrivo anche di economia e attualità.

    La specialità

    Fatta la legge, trovato l’inganno. Se nei prossimi giorni il cappone troneggerà su tante tavole si deve anche a una furbata dei campagnoli dell’Antica Roma. Era il 162 d.C. quando una legge dell’Impero vietò le galline all’ingrasso per non sprecare i cereali. I contadini – non per nulla «scarpe grosse, cervello fine» – decisero di castrare i galli, più grossi ma inutili non facendo le uova. Dal Rinascimento è tradizione nelle campagne padane allevarne almeno quattro in vista del Solstizio d’Inverno e dei pranzi di Sant’Ambrogio, Natale, Capodanno e l’Epifania.

    Alessandro Manzoni ne fa portare proprio quattro al buon Renzo de I Promessi sposi in dono all’avvocato Azzeccagarbugli, «perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori». Legati assieme per le zampe, «s’ingegnavano a beccarsi come accade troppo sovente tra compagni di sventura». Evidentemente non erano i capponi piemontesi di Morozzo, dichiarati Presidio Slow Food per la loro bontà (i puristi li gustano semplicemente lessi e bagnati nel sale) la cui più originale caratteristica è il non pizzicarsi tra di loro come fanno tutti gli altri galli (“umani” compresi).

    Antologia

    Il gallo castrato è ampiamente presente nei ricettari della cucina italiana, come dimostra la straordinaria (e assolutamente unica) antologia di oltre 500 anni di ricettari Coquus pubblicata da Giunti (704 pagine, 39 euro). Tra gli esempi, i Caponi inzucarati già a Napoli nel 1464, in fricassea (col succo di arance e cannella) secondo Messisbugo nel 1549, alla Bersagliera (prima rosolati in burro e salvia, poi coperti da due bei bicchieri di vino e da una pestata di lardo) nel Dubini del 1857. Oggi le tradizioni regionali, stando all’Accademia della Cucina Italiana, lo vedono ripieno in Piemonte, Emilia Romagna, Molise. In galantina nelle Marche. “Alla canevera” (pulito, disossato, profumato con erbe e quindi inserito in un budello di maiale per la cottura lenta) in Veneto. Arrosto al forno nel Lazio. “Alla calabrese” (con filetti di acciughe e Marsala) al Sud.

    Raviolotti

    I grandi chef lo esaltano non solo nel brodo. Massimo Spigaroli, stellato all’Antica Corte Pallavicina nel Parmense, propone i Raviolotti di cappone con anguilla, gambero di fiume e carpaccio di pomodoro. Oppure intramezzato di foie gras, maiale nero della golena del Po e castagne, accompagnato da cipolline glassate e funghi. La ricetta di oggi del Cavallino Bianco dei fratelli Spigaroli è la “suprême” di cappone che piaceva assai a Giuseppe Verdi che l’aveva gustata nei grandi alberghi parigini.

    Per i comuni mortali, il dilemma è solitamente se lessarlo per farne uno strepitoso brodo per i tortellini o cucinarlo arrosto con patate (un segreto per rendere più morbida la carne è massaggiarla prima della cottura con una emulsione di burro a bagnomaria, sale e pepe). «Al momento dell’acquisto – spiega il macellaio Sergio Motta, ai corsi del Gambero Rosso – deve essere bello, giallo e grasso. Gli speroni all’interno della zampa devono essere a metà stinco, il che indica l’età giusta per cucinarlo, che va dai sei agli otto mesi, quando ha gli ossi più secchi e la carne è più saporita». Per farlo in brodo serve intero. «Se proprio bisogna scegliere – aggiunge Motta – preferite le cosce perché il petto è un po’ più asciutto».

    La ricetta della suprema di cappone alla Giuseppe Verdi Massimo e Luciano Spigaroli, ristorante Al Cavallino Bianco – Polesine Zibello (Parma)

    Ingredienti

    Preparazione

    Step 1

    Col burro fuso in una casseruola rosolate il porro.

    Step 2

    Aggiungete i petti infarinati di cappone sul fuoco.

    Step 3

    Quando avranno preso colore, aggiungete lo Champagne, fate evaporare e aggiungete il sugo di pollo.

    Step 4

    Quindi passate il tutto in forno per 15’.

    Step 5

    Togliete i petti dalla casseruola e rimettetela sul fuoco per ridurre di un terzo il fondo di cottura.

    Step 6

    Aggiungete parte del tartufo affettato.

    Step 7

    Tagliate il petto a fette trasversali, disponendole in fila, leggermente sovrapposte.

    Step 8

    Distribuite uniformemente la salsa e completate con qualche lamella di tartufo.

    Step 9

    Servite con un piccolo flan di zucchine.

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