Ossobuco, buono fino al midollo: la ricetta della tartare di manzo, tartufo e nocciole

È una specialità squisitamente lombarda, ma può essere declinata in mille modi. Dalla variante toscana, con l’olio al posto del burro, a quella romana con i piselli. Fino alla versione fusion accompagnata dalla tempura di verdure

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    Carlo Ottaviano
    Carlo Ottaviano
    “Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”, diceva Luigi Barzini Jr. Farlo scrivendo di cibo è ancora meglio, aggiungo io dopo 45 anni di lavoro (duro e serio) in tv, quotidiani, mensili e qualche libro pubblicato. Per il Messaggero scrivo anche di economia e attualità.

    L’ossobuco

    «Questo è un piatto che bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda. Intendo quindi descrivervelo senza pretensione alcuna nel timore di non essere canzonato». Nel 1891 Pellegrino Artusi ne La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene precisava: «È l’ossobuco un pezzo d’osso muscoloso e bucato dell’estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi, quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra ad un battuto crudo di tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro. Conditelo con sale e pepe».

    Oltre alla versione milanese esistono la toscana (con l’olio invece del burro, un cucchiaio di salsa di pomodoro e una bella sfumatura nel vino), oppure di carne maiale (frequente in Piemonte). Di rigore dovrebbe essere di vitello, in particolare il muscolo posteriore – si chiama geretto – tagliato a fette alte 4 centimetri con una sezione d’osso con midollo. Ogni porzione deve pesare intorno ai 250-400 grammi.

    Innovazioni

    La nuova cucina italiana – materia prima, fantasia, innovazione – si esalta proprio giocando con la tradizione, come fanno, per esempio, in Sabina Carlotta Delicato (sua la ricetta di oggi) o al Retro-Bottega di Roma (appena dietro Piazza Navona) Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi, allievi di Anthony Genovese al Pagliaccio. I loro tortelli (li chiamano bottoncini) ripieni di midollo sono il ritratto dell’opulenza. Ma l’oscar per gli effetti speciali (culinari) va di diritto ai pezzetti di maki (la comunissima forma di sushi) del geniale Wicky Priyan. Con il suo “Maki òs büüs” (verdure in tempura, riso allo zafferano, ossobuco alla milanese, chips di patata viola e Parmigiano Reggiano) fa incontrare Milano e il Giappone.

    «Il mio locale – racconta – è vicino al Duomo, alla Madonnina, e il riso giallo richiama l’oro della statua». Lo chef, maestro di cucina kaiseki, non svela la ricetta «perché nel nostro percorso di formazione, la reale esperienza e il metodo del Maestro vengono tramandati solo a voce e solo agli allievi ritenuti più meritevoli, come a suo tempo fui ritenuto io». Al tavolo di lavoro usa lo “ya- nagi ba”, un affilatissimo coltello. «Ha una lama – spiega – lunga e sottile, non dà un taglio violento, ma accarezza il prodotto e non ne altera il sapore». La cucina kaiseki si basa sull’osservazione, comprensione e corretta interpretazione delle caratteristiche di ogni singolo ingrediente e «sul principio “shun” cioè l’utilizzo di ingredienti stagionali al culmine della loro freschezza, in modo che possano esprimere il loro vero e naturale sapore».

    Contorno

    L’ossobuco tradizionale a Roma si serve con i piselli e, in questa stagione, assieme ai funghi porcini. A Milano ha accanto il classico risotto allo zafferano, oppure la gremolata: un trito di mezzo spicchio d’aglio con un pugno di prezzemolo e la buccia di un limone piccolo, grattugiata sopra. Immancabile, a tutela del bon ton al tavolo delle “sciure” meneghine, è la presenza dell’esattore. Niente paura: non stiamo parlando del temuto agente delle tasse, ma della sottile e lunga posata con a un capo un minuscolo cucchiaio leggermente piegato che serve a estrarre il midollo dall’osso e all’altro una forchettina con denti incurvati per estrarre la polpa anche dove sembrerebbe impossibile.

    La ricetta della tartare di manzo, tartufo e nocciole dello Chef Carlotta Delicato, ristorante Delicato, Contigliano – Rieti

    Preparazione

    Step 1

    Sminuzzare il filetto grossolanamente e creare il trito con scalogno, capperi e acciughe.

    Step 2

    Immergere il midollo in acqua almeno 24 ore.

    Step 3

    Mischiare il tutto e condire con il trito.

    Step 4

    Intanto, tenere il midollo al forno a 180° per 15 minuti. Alla base del forno inserire foglie di lavanda per dare profumo.

    Step 5

    Impiattamento molto semplice: la tartare deve essere molto fredda, così da causare uno shock termico sul midollo. Adagiamo il midollo su un letto di lavanda, con sopra la tartare. Guarnizione di nocciole e tartufo.

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